Pi greco - Il teorema del delirio - di Darren Aronofsky 1999 / per appassionati
Requiem For A Dream - di Darren Aronofsky 2002 / da vedere
L'albero della vita - The Fountain - di Darren Aronofsky 2007 / si può perdere
Pi greco: Max Cohen è uno scienziato matematico che vive in una specie di isolamento nel suo appartamento disordinatissimo, quasi in simbiosi col suo apparato elettronico. Lavora ad una teoria basata sulla ripetitività dei numeri, sulle statistiche, sulla convinzione che la natura parli attraverso la matematica. Soffre di prepotenti emicranie, pare, causate dal fatto che da piccolo ha guardato fisso il sole per un elevato numero di secondi. Ingoia massicce dosi di medicinali, è soggetto a sbalzi d'umore, è guardato dal vicinato come un tipo veramente strano (quale è, del resto), quindi da qualcuno molto male, da qualcuno con curiosità, da altri con tenerezza, dai bambini con divertimento. La sua unica distrazione, non disinteressata fino in fondo, è far visita ad un suo vecchio professore, Sol Robeson, che avendo lavorato sullo stesso principio lo mette continuamente in guardia dall'eccesso di lavoro e di pensiero, e lo invita a rilassarsi. I suoi studi, visto che spesso si basano anche sulla ripetitività dell'andamento dei titoli di borsa, fanno gola sia ad un'azienda quotata a Wall Street, sia, per puro caso, ad un gruppo di ebrei ortodossi, convinti che la sequenza che Max cerca rappresenti il vero nome di Jahvé, nome nascosto appunto dietro ad una sequenza numerica, conosciuti dagli antichi sacerdoti, e andato perduto al crollo del Tempio di Gerusalemme.
Il debutto sul lungometraggio di Aronofsky, inutile negarlo, ricorda molto da vicino quello di David Lynch con Eraserhead. Anche qui, come in quel caso, ci troviamo davanti ad un cineasta da amare o da odiare. I parallelismi sono molti, a partire dall'uso del bianco e nero, seppur sgranato diversamente, e dal personaggio principale perennemente sul filo della follia. Nel caso di Aronofsky la metafisica, la numerologia, la cabala, la sequenza di Fibonacci, sono parte del progetto, e danno un fascino misterioso e inquietante a questo film claustrofobico, che diventa ossessivo anche nelle pochissime sequenze in esterno, mediante l'uso della ripresa con macchina da presa e attore sullo stesso carrello, tecnica che ritroveremo massicciamente nel film seguente.
I personaggi secondari sono usati simbolicamente, seppur in maniera grossolana, e se nella prima parte servono ad allentare la tensione, nella seconda concorrono alla creazione del climax, che esplode nel finale nichilista ma aperto. Fondamentale la colonna sonora, prevalentemente elettronica ma di gran classe, eccezionale la prova recitativa dell'assoluto protagonista Sean Gullette, amico del regista (era presente perfino nel corto col quale Aronofsky si è laureato) e qui co-sceneggiatore insieme a lui. Un debutto davvero interessante, ma, comprendiamo, difficile da digerire per tutti i palati.
Requiem For A Dream: Harry è un tossico che non ammette di esserlo. Vive con la madre Sara, una casalinga vedova teledipendente, che ovviamente lo assilla. Si rifugia perciò a casa della fidanzata, la bellissima Marion, aspirante disegnatrice di moda, di famiglia benestante ma ribelle, ragazza che sotto l'influenza di Harry diventa perfino più tossica di lui. Insieme all'amico Tyrone, Harry progetta di arricchirsi con lo spaccio, di affrancarsi dalla dipendenza, e di dare un futuro a Marion.
Un piccolo capolavoro il secondo lungometraggio di Aronofsky. Tratto da un romanzo di Hubert Selby Jr. (ancora una volta, ricordo sempre da un suo libro Ultima fermata Brooklyn il film di Uli Edel - quello de La banda Baader Meinhof -), che partecipa alla sceneggiatura con lo stesso regista, questa volta a colori, e che colori, con una fotografia (Matthew Libatique) ultra-patinata che rende stridente il contrasto con le vite dei protagonisti che vanno in pezzi, sgretolandosi scandite dai tre "atti" chiamati come tre stagioni (Estate, Autunno e Inverno, senza la Primavera, e questo già vi può fornire qualche indicazione su come finirà). L'andamento è spiazzante, in quanto la prima parte sembra quasi un film romantico, dopo di che il tutto precipita in una spirale che non risparmia niente allo spettatore, dalle crisi d'astinenza, necrosi degli arti, orge, visioni paranoiche e deliri vari. Amplificato l'uso della ripresa sul carrello che citavo in occasione del film di debutto (sorry, prima o poi capirò se ha un nome preciso e ve lo riferirò: l'avete vista in molti video-clip e, per dirne una, in Inside Man di Spike Lee quando Washington va verso la banca deciso a risolvere la situazione ostaggi), con l'attore sul carrello stesso, una sorta di contro-soggettiva con la macchina vicinissima al viso dell'attore che lo segue nei movimenti e rende la ripresa a scatti decisi, gli attori diretti discretamente. Superlativa Ellen Burstyn (Sara), efficace Jared Leto nei panni di Harry (la sua faccia d'angelo serve a descrivere il contrasto tra la prima parte e le altre due, come spiegato prima), convincente Marlon Wayans nei panni di Tyrone, con quella sua costante aria da cazzone spazzata via dagli eventi, la meno convincente risulta forse Jennifer Connelly nei panni di Marion, ma nel mio giudizio pesa sempre la sua abbagliante bellezza, che mal si presta a descrivere una discesa all'inferno, seppur la sua immagine sul divano, verso la fine del film, sia la summa del tutto.
Davvero da recuperare, se non lo avete visto.
L'albero della vita: Tommy Creo è un capo ricercatore di un laboratorio avanzatissimo, dove si studiano possibili cure per i tumori al cervello. Nel frattempo, sta vivendo un dolorosissimo dramma personale: l'amata moglie Isabel ha un tumore, ed è grave. Nel laboratorio si stanno tentando cure su alcune scimmie malate di tumore, e visti gli scarsi risultati, e il peggioramento di Izzy, Tommy rompendo il normale protocollo sperimenta un composto estratto da un albero guatemalteco. Il tumore non si ferma, ma la scimmia inizia una fase di ringiovanimento.
Isabel sta scrivendo un libro, e un'altra sua passione è osservare le stelle con un telescopio. Tommy fa così conoscenza con Xibalba, una nebulosa che nella leggenda Maya rappresentava l'oltretomba. Al tempo stesso, Tommy legge, spinto da Izzy, il libro che lei sta scrivendo, intitolato The Fountain, dove si narra della regina di Spagna Isabella, il cui regno è minacciato dal Grande Inquisitore; un suo servitore devoto, Tomas, viene fermato mentre progetta di uccidere l'Inquisitore dalla Regina stessa, e inviato da lei nel regno Maya per trovare l'Albero della Vita, da cui ricavare il succo dell'immortalità.
C'è poi un ulteriore piano narrativo: quello in cui il protagonista diventa Tom, una specie di astronauta zen che medita ai piedi dell'Albero della Vita, ossessionato dalla visione delle due incarnazioni della moglie (Isabella/Isabel-Izzy), che brama di raggiungere.
Un grandissimo fiasco, sia al botteghino che oggettivo, il terzo film di Aronofsky, dalla realizzazione travagliata (ne abbiamo letto anche qui). Le intenzioni sono altissime, e si può anche intravedere una sorta di continuità, ma la riuscita è decisamente pessima. Troppi piani narrativi, troppa confusione, recitazioni appena sufficienti (per non dire di peggio), troppi effetti speciali, fotografia esageratamente virata verso toni scuri, un film che si fa fatica sia a seguire, sia a prendere sul serio. Si capisce l'intenzione di affrontare temi alti, come il senso stesso della vita, ma si può fare anche con meno, a volte. Un passo falso da dimenticare in fretta.
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