La prima cosa bella - di Paolo Virzì 2010
Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: so' troppo di parte...andatilo a vede' solo per senti' una bimbetta di sei anni che dice "mamma Bruno m'ha dato un picchio"
Bruno ha circa quarant'anni, vive a Milano, una donna che lo ama, un lavoro come insegnante, e un vuoto dentro, che non riesce a colmare, se non consumando saltuariamente droghe leggere. Bruno è livornese, ma ha tagliato i ponti con la sua città e la sua famiglia. Un giorno, però, la sorella Valeria, insieme al figlio più grande, piomba a Milano, nella scuola dove insegna Bruno, visto che lui ormai non risponde più neppure alle sue telefonate, per comunicargli che alla madre, Anna Nigiotti (in Michelucci), ormai rimane poco da vivere, e forse sarebbe il caso che lui tornasse a Livorno insieme a loro per farsi rivedere. Bruno, più per apatia che altro, sale in macchina (stupendosi che il figlio di Valeria guidi, da tanto tempo non lo vedeva), e i tre partono verso la città dei Quattro Mori. Si innescano così, tutta una serie di ricordi, mai sopiti, da parte di Bruno e di Valeria, ricordi che non si placano, quando Bruno arriva al capezzale della madre, e la scopre si malata terminale, ma ancora incapace di preoccuparsi per qualsiasi cosa.
Virzì, come già sostenuto in occasione del suo film precedente Tutta la vita davanti (anche se, ad essere pignoli, il regista ha girato, in mezzo, il documentario L'uomo che aveva picchiato la testa, uscito direttamente in dvd), è "l'unico depositario della commedia all'italiana, che diverte ma graffia profondamente". In questo suo ultimo, divertente e toccante La prima cosa bella, Virzì regola i suoi conti col passato e con la sua città di origine, partendo da parecchie note autobiografiche (leggete le prime righe della sua biografia su Wikipedia), e infarcendo il tutto con elementi storici e non, deliziosamente livornesi (leggete, a tal proposito, l'articolo degno di nota, anche se non privo di inesattezze - il Cinema/Teatro 4 Mori non è l'unica sala del centro ad essere sopravvissuta -, di Marco Gasperetti sul Corriere della Sera del 17 gennaio 2010 - grazie all'amico Cipo per la segnalazione -). E' vero, in effetti, che, come dice il buon Gasperetti, "l'insostenibile leggerezza dell'essere livornesi", si basa soprattutto nel non dare troppa importanza alle cose: non so se è nata qui a Livorno questa scuola di pensiero, ma, a proposito dei soldi, ad esempio, si pensa che quando si contrae un debito, con la banca, per dire, ad essere preoccupata deve essere in primis la banca, o in generale, chi deve averli indietro i soldi, e non chi beneficia del prestito. Questo, per fare un esempio, che può essere importante per capire qualcosa del film. Un'altra chiave di lettura, che secondo me, purtroppo, si capisce poco, è che Mario Michelucci, il padre del protagonista Bruno, maresciallo dei Carabinieri, interpretato più che dignitosamente da Sergio Albelli (che abbiamo visto anche in Miracolo a Sant'Anna di Spike Lee), non è livornese (si intuisce che è fiorentino, o qualcosa del genere), al contrario della madre Anna (interpretata, da giovane, dalla moglie di Virzì, Micaela Ramazzotti, che ci è piaciuta di più in Tutta la vita davanti, ma che anche qui non sfigura affatto, e da "anziana" da una sempreverde Stefania Sandrelli, credibilissima). Magari sbaglio, magari questa è solo un'idea che mi sono fatto: purtroppo, per quanto si sforzino, Mastandrea, Pandolfi e Ramazzotti riescono a sembrare toscani (anche se qualche ciak io l'avrei fatto rifare, perchè qualche inflessione romana scappa, qua e là, a tutti e tre), ma non perfettamente livornesi (leggi anche: non ci sono attori livornesi abbastanza "di richiamo" che possano fare i protagonisti di un film italiano importante); per cui è difficile fare delle distinzioni (come invece si potrebbero fare nella realtà, e si fanno: un toscano capisce subito da dove viene un altro toscano, così come succederebbe in altre regioni italiane), e quindi non è detto che, nelle intenzioni del regista, il padre dovesse essere un "extra-livornese". Certo è che il carattere del padre non è esattamente quello della madre, reginetta di bellezza con la passione del cinema, svampita, ingenua ma piena d'amore per i figli e per la vita, carattere che segna per sempre le vite dei due figli (come Bruno dice apertamente, in un'occasione quantomeno fuori dagli schemi).
Fatte tutte queste, anche tediose immagino, premesse, c'è da ribadire che il film parte un po' ingessato, dati i frequenti salti nel tempo, dopo di che prende una certa quota, si inizia a ridere e a calarsi nella storia. E' innegabile che le persone che più si rispecchieranno nella storia, sono i "fuori sede", quelle e quelli che, per motivi vari (soprattutto per lavoro), dalla provincia si sono trasferiti in grandi città. Insieme alle risate, però, si fa strada una certa amarezza, simile a quella di Bruno. Poi, insieme ai consigli del Dottor Malfatti, alla fine molto simili a quelli di mamma Anna, ci si rilassa, e, nonostante pian piano si arrivi al momento di massima commozione della storia, che ci racconta tutte, ma proprio tutte le complicate, strambe, deliziose peripezie di Anna, Bruno e Valeria, ci si compiace e ci si rispecchia nel finale del film.
Al tempo stesso, La prima cosa bella è un omaggio intenso ai maestri e alle ispirazioni italiane di Virzì. Sandrelli a parte, la ricostruzione, legata alla storia di Anna, di un set di Dino Risi a Castiglioncello, con una giovane Anna che è ingaggiata e deve dire una battuta davanti a Mastroianni (Bobo Rondelli dà la voce al fantasma di Marcello, quasi inudibile, ma perfetta) e a Risi stesso (interpretato dal figlio Marco), o il finale del film stesso, che si chiude a poche decine di metri da dove si concludeva Il sorpasso, tanto per dirne alcune, serrano un ideale cerchio cinematografico.
Un difetto grave, che purtroppo ogni tanto bisogna ricordare, e che accomuna molte produzioni italiane: il suono in presa diretta è orrendo: i primi 15 minuti non si capisce assolutamente niente. Macchina da presa sicura, fotografia leggermente diversa a seconda dei periodi storici, appena percettibile, direzione degli attori, ricercatezze linguistiche e vernacolari a parte, brillante e giocosa. Bravi i protagonisti e i personaggi (tanti, tantissimi) di contorno; tra questi ultimi, voglio nominarne, tra tutti, alcuni, meritevoli di menzione e tutti livornesi: Isabella Cecchi (la zia Leda), già vista in Non c'è più niente da fare, focosa e molto brava, a dispetto della parte che la relega nel ruolo dell'antipatica a tutti i costi, Emanuele Barresi (il Lenzi, tra l'altro regista del Non c'è più niente da fare citato poc'anzi), mastroiannesco nel suo personaggio, Fabrizio Brandi (Giancarlo, il marito di Valeria, vigile urbano, anche lui in Non c'è più niente da fare), una mitraglia verbale, travolgente nel suo livornese forbito e, di conseguenza, esilarante, Roberto "Bobo" Rondelli (il Mansani), dolente come nelle sue canzoni. Capitolo a parte per i due Bruno e Valeria bambini: Giacomo Bibbiani e Aurora Frasca, fantastici.
Concludo. Non è il miglior film di Paolo Virzì (a mio giudizio, rimane, al momento, Tutta la vita davanti; il più preciso nel dipingere la - triste - situazione sociale italiana). Probabilmente, non è neppure il più "livornese" (diciamo che questo La prima cosa bella è a pari merito con Ovosodo, ma tutti, compreso il già citato L'uomo che aveva picchiato la testa, sono tasselli che definiscono l'essenza del luogo d'origine di Virzì, ed è, credo, normale che un regista si porti dietro le proprie origini).
Certo è, che questo film è il suo più personale. E, pure in questa sorta di autobiografia romanzata e mascherata, Virzì riesce a non perdere la tenerezza, la sensibilità, il sarcasmo e l'ironia di cui è capace, come pochi altri in Italia.
1 commento:
Visto ieri sera, tra l'altro con tutti i miei cari - ed è piaciuto parecchio a tutti. A me è sembrato molto ben costruito, un insieme assi ben bilanciato di lacrime e riso, in diversi casi anche esilarante.
Per me è davvero un film che si consiglia a tutti.
Posta un commento