Tickets – di Ermanno Olmi, Abbas Kiarostami e Ken Loach 2005
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: ganzetto
Un anziano professore, causa sospensione dei voli aerei, torna verso il Nord Italia in treno da una consulenza in Europa centrale, ripensando alla giovane segretaria e tentando di scriverle una lettera; intorno a lui, militari impegnati in severi controlli e famiglie di immigrati in viaggio verso la speranza di una vita migliore.
Un’anziana e prepotente vedova di un Generale dell’Esercito Italiano, angustia l’obiettore di coscienza che le fa da accompagnatore, un giovane educato che durante il loro viaggio in treno in Centro Italia familiarizza con due ragazzine che lo conoscono ma delle quali lui non si ricorda.
Tre tifosi scozzesi del Celtic Glasgow viaggiano verso Roma in treno (causa paura di volare di uno di loro) per la partita di Champion’s League; fanno amicizia con un giovane albanese, che però gli ruba uno dei biglietti ferroviari per disperazione (se ne accorgeranno poi). Il controllore, che trova uno di loro sprovvisto di biglietto, minaccia di consegnare i tre scozzesi alla polizia al loro arrivo a Roma Termini.
Viene in mente subito, per vicinanza temporale, Eros di Antonioni, Soderbergh e Wong Kar Wai (purtroppo anche nella piacevolezza delle storie; la parte di Olmi è senz’altro la peggiore, così come, in Eros quella di Antonioni), ma qui il progetto è ancora più interessante; il film è concepito come una storia unica, che si dipana lungo un tratto ferroviario, e anche se i soggetti cambiano, il filo conduttore, alla fine, risulta essere la famigliola albanese (il piccolo con la maglia di Beckham ha un sorriso che spacca), che da ‘’sfondo’’ diventa man mano protagonista.
E’ inoltre interessante questo progetto, a prescindere dal piacere della visione che, come detto, aumenta man mano che si va avanti col film (l’episodio di Loach, conclusivo, è scoppiettante), per vedere quanto cambia l’approccio, lo stile, la filosofia, di tre registi comunque importanti, davanti allo stesso soggetto.
L’inizio di Olmi è cupo, malinconico, con poco ritmo, e, sinceramente, ti lascia poco; la parte centrale di Kiarostami è interessante, si cala molto bene nella realtà italiana, e inserisce nel racconto un sacco di storie marginali. Il finale di Loach è, come già affermato, scoppiettante; si ride di gusto, ma ci si commuove perfino. Sintomatico il fatto che, in un tempo limitato, 35 minuti ciascuno circa, solo Loach riesce a dipanare una vera storia, a dargli un senso compiuto, in maniera molto più completa degli altri due.
Per amanti del cinema.
E’ inoltre interessante questo progetto, a prescindere dal piacere della visione che, come detto, aumenta man mano che si va avanti col film (l’episodio di Loach, conclusivo, è scoppiettante), per vedere quanto cambia l’approccio, lo stile, la filosofia, di tre registi comunque importanti, davanti allo stesso soggetto.
L’inizio di Olmi è cupo, malinconico, con poco ritmo, e, sinceramente, ti lascia poco; la parte centrale di Kiarostami è interessante, si cala molto bene nella realtà italiana, e inserisce nel racconto un sacco di storie marginali. Il finale di Loach è, come già affermato, scoppiettante; si ride di gusto, ma ci si commuove perfino. Sintomatico il fatto che, in un tempo limitato, 35 minuti ciascuno circa, solo Loach riesce a dipanare una vera storia, a dargli un senso compiuto, in maniera molto più completa degli altri due.
Per amanti del cinema.
2 commenti:
"L’inizio di Avati è cupo, malinconico, con poco ritmo, e, sinceramente, ti lascia poco"
intendevi Olmi, giusto?
si Massi, ho corretto, grazie
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