No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100226

invincibile


Invictus - di Clint Eastwood 2010



Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: da lucci'oni



"Dal profondo della notte che mi avvolge,

buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,

ringrazio quali che siano gli dei

per la mia inconquistabile anima.

Nella morsa della circostanze,

non mi sono tirato indietro, né ho pianto.

Sotto i colpi d'ascia della sorte,

il mio capo sanguina, ma non si china.

Più in là, questo luogo di rabbia e lacrime

appare minaccioso ma l'orrore delle ombre,

e anche la minaccia degli anni non mi trova,

e non mi troverà spaventato.

Non importa quanto sia stretta la porta,

quanto piena di castighi la vita.

Io sono il padrone del mio destino.

Io sono il capitano della mia anima".


Il poema Invictus, appunto, di William Earnest Henley, è quello che Nelson Mandela (Rolihlahla Dalibhunga) pare leggesse e rileggesse chiuso nella cella 46664 per 26 anni.
Il film Invictus, invece, racconta di come Madiba (soprannome che ha origine nel titolo onorifico che adottavano gli anziani della sua famiglia, e che in Sudafrica ormai individua esclusivamente lui), divenuto presidente del paese, e soprattutto della gente per la cui libertà ha lottato aspramente tutta la vita, quattro anni dopo essere stato scarcerato, riesca, nonostante gli enormi problemi, a cominciare il processo di riunificazione in un paese profondamente diviso tra bianchi e neri.

Mandela, deciso ad “amare il nemico”, ha una folgorazione, assistendo ad una partita di rugby della nazionale sudafricana, gli Springboks, le antilopi, baluardo della “cultura” sportiva bianca (c’è un solo nero, Chester Williams, curiosamente, l’allenatore dell’equipe cinematografico-rugbistica per il film), squadra si nazionale, ma nella quale i neri non solo stentano a riconoscersi, ma addirittura gli tifano contro.

Visto che il Sudafrica proprio l’anno seguente ospiterà i Mondiali di rugby, sport dal quale era stato escluso per anni a causa dell’apartheid, Madiba decide quindi di “insinuarsi” dentro il loro cuore, attraverso il suo capitano, François Pienaar, bianco di famiglia bianca, famiglia ovviamente che non vede di buon occhio un Presidente nero, ma uomo d’onore, come ogni rugbista che si rispetti, e pieno d’amore e di riconoscenza per il suo Paese, oltre che di buon cuore.
Quel che è accaduto, nonostante gli Springboks non fossero per niente quotati, è rimasto negli albi d’oro.

Ennesimo film dell’instancabile vecchietto prodigio Eastwood, tratto dal libro Ama il tuo nemico (Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation) di John Carlin, scritto dal punto di vista di Pienaar, questo Invictus è, ancora una volta, grande cinema “educativo”, la messa in scena di una storia fortissimamente toccante, commovente, umana, ma anche politica. Quanti politici attuali dovrebbero imparare questa universale lezione di Mandela? Troppi.
Nelle mani di Eastwood, Morgan Freeman, che non ha bisogno di insegnamenti, mette in scena un Mandela credibile, e perfino Matt-bambolotto-Damon risulta digeribile nei panni di Pienaar; grande il lavoro di entrambe gli attori sulla pronuncia dell'inglese "africano", lavoro che si perderà col doppiaggio, nel nostro paese.

Fotografia inondata di luce, sole che penetra ogni cortina, qualche perplessità sulle prime riprese degli scorci degli incontri rugbistici (che sembrano un po’ “vuote”), anche se bisogna fare i conti col fatto che sono passati 15 anni, e il gioco di adesso è decisamente diverso, piccolissime sbavature (fateci caso, nella scena in cui i giocatori della nazionale sudafricana vanno ad insegnare il rugby nel “quartiere” – sarebbe più giusto dire baraccopoli o favela – nero, c’è un momento in cui uno dei bambini guarda in macchina), ma come sempre grande senso delle inquadrature, della costruzione delle scene, dialoghi asciutti, momenti di grande intensità, respiro epico, e tanta, tanta commozione che suscita massimo rispetto per i protagonisti.
Due ore abbondanti col cuore in mano.

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