Una pagina chiusa per sempre
Salvatore Aloïse, Le Monde, Francia
Nel suo letto al primo piano dell’ospedale di Gioia Tauro, vicino a Rosarno, Ayiva Saibou non può nascondere il suo terrore: “Questo è razzismo, noi non siamo dei criminali”. È stata l’aggressione subita la sera del 7 gennaio da questo immigrato del Togo e dai suoi compagni a scatenare l’inferno di Rosarno. Sulla via del ritorno, dopo una giornata di lavoro nei campi, hanno visto una macchina fare inversione di marcia dopo averli superati. Hanno subito capito che c’era qualcosa di strano. Una delle persone a bordo dell’auto ha tirato giù il finestrino e ha sparato con una carabina ad aria compressa. Colpi abbastanza forti per ferirli, dice Ayiva mostrando i suoi jeans insanguinati. Abbastanza forti per far scoppiare la rabbia degli immigrati. Non è la prima aggressione ai braccianti arrivati nella piana di Gioia Tauro per la raccolta dei mandarini. Già l’anno scorso gli avevano sparato e avevano bruciato i loro alloggi di fortuna. Così la sera del 7 gennaio più di un centinaio di immigrati esasperati hanno rotto le vetrine e incendiato le auto e i cassonetti della spazzatura. Il giorno dopo gli abitanti di Rosarno hanno risposto scatenando una “caccia all’immigrato”. Fino a notte fonda gli abitanti hanno fatto dei posti di blocco e aggredito gli immigrati. Si parla addirittura di bidoni di benzina pronti per “stanare” quelli che si nascondevano. La calma è tornata in città l’11 gennaio. A parte i feriti, non ci sono più immigrati a Rosarno. Sono stati trasferiti nei centri di accoglienza, mentre gli altri sono andati via con i loro
mezzi. Forse sarebbe più giusto dire che sono fuggiti, come dimostrano le scarpe, i vestiti, le valigie lasciati nelle baracche. E le decine di biciclette davanti a una delle fabbriche abbandonate e trasformate in alloggi di fortuna. Dal 10 gennaio sono entrate in azione le ruspe per demolire e cancellare le ultime tracce della loro presenza. Alcuni rosarnesi assistono alle operazioni, quasi
per assicurarsi che il lavoro di “pulizia” venga fatto fino in fondo. La Calabria si interroga su quello che è successo. La magistratura ha aperto un’indagine sul ruolo della ’ndrangheta nella
“caccia al nero”. Perché, dopo anni di “convivenza”, ci si è liberati di questi braccianti senza diritti? All’ospedale di Gioia Tauro alcune associazioni umanitarie portano biancheria e caramelle “per addolcire la situazione” e ripetere che “la vera Calabria non è razzista”. Ma Ayiva e gli altri chiedono di andare via al più presto. Per loro Rosarno è una pagina chiusa per sempre.
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Da Internazionale nr. 829
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