La rivolta di Rosarno
Rachel Donadio, The New York Times, Stati Uniti
Le violenze scoppiate nella città calabrese sono legate allo sfruttamento degli immigrati che lavorano nell’agricoltura
I dati ufficiali dicono che a Rosarno ci sono 1.600 braccianti: tutti italiani, tranne 36. Ma la realtà che emerge dalla rivolta del 7 gennaio è diversa. Gli stranieri sono circa 1.200, in gran parte
africani, sono pagati in nero e guadagnano 30 euro al giorno per raccogliere arance e mandarini. Ora che sono andati via, la frutta resta sugli alberi. Altrove 30 euro al giorno non bastano per vivere, ma questa è una delle zone più povere d’Italia. Gli abitanti di Rosarno non guadagnano molto di più, anche se la maggior parte di loro non raccoglierebbe mai la frutta. La rivolta degli immigrati va dritta al cuore della difficile trasformazione dell’Italia da paese di emigranti a paese di immigrati. Ma i fatti di questi giorni sono legati alla realtà di Rosarno. Qui l’economia è così
debole che la popolazione locale e gli immigrati si fanno concorrenza. In una città dove spesso le persone non vogliono dire neanche il loro nome, c’è un elemento misterioso che rende più difficile capire la rivolta: la forza della ’ndrangheta. Negli scontri è stato arrestato il figlio di un boss, accusato di aver ferito un poliziotto. È il segno che la ’ndrangheta potrebbe aver organizzato la
reazione degli abitanti alla violenza degli immigrati. “È una situazione complicata”, dice Francesco Campolo, uno dei tre commissari prefettizi ad interim nominati l’anno scorso, dopo l’arresto del sindaco per concorso esterno in associazione mafiosa. Le autorità hanno aperto un’inchiesta
per capire come mai le proteste sono diventate così violente, chi ha organizzato la rappresaglia
dei cittadini e chi ci guadagna dalla scomparsa degli immigrati. Alberto Cisterna, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, deinisce Rosarno la Corleone della Calabria, perché qui i clan della ’ndrangheta esercitano un “controllo straordinario”. E in una città dove la
criminalità organizzata è forte, la presenza della manodopera immigrata era di certo apprezzata. L’agricoltura non è redditizia se i trasporti e la manodopera costano caro. Così la maggior parte delle aziende agricole paga in nero gli immigrati.
Sovvenzioni europee
Per anni le autorità non sono riuscite a mettere fine a questo sistema. Come altre regioni agricole dell’Italia meridionale, la Calabria ha ricevuto a lungo delle generose sovvenzioni dall’Unione europea. Ma nel 2007, per prevenire le truffe, Bruxelles ha cambiato le regole, legando le sovvenzioni agli ettari coltivati e non alle tonnellate prodotte (spesso in Calabria si dichiaravano
grandi raccolti su pochi ettari di terra). Secondo le autorità, ora per alcuni proprietari terrieri potrebbe essere più redditizio abbandonare i raccolti e incassare le sovvenzioni invece di pagare i braccianti. Forse gli immigrati sono diventati meno utili. Eppure, in quasi vent’anni la loro presenza era diventata parte integrante del tessuto sociale di Rosarno. Già nel giro di pochi giorni alcuni negozi risentono della loro assenza. “Prima di Natale preparavo dei panini apposta per loro”, dice Letizia Condulucci, che lavora alla cassa del panificio di famiglia. Come molti abitanti di Rosarno, anche lei ricorda quello che hanno fatto i suoi concittadini per aiutare i lavoratori africani e ora è indignata per la loro violenza. Secondo i commissari prefettizi, la rivolta è stata alimentata da voci incontrollate. Gli immigrati avevano saputo che la gente del posto aveva ucciso uno di loro, mentre i calabresi erano convinti che gli immigrati avessero ferito una donna incinta facendole perdere il bambino. Entrambe le voci erano false, eppure la violenza è stata
terribile. Dopo che gli immigrati hanno aggredito i rosarnesi, assaltato i negozi e incendiato le auto, gli abitanti hanno reagito con violenza. La sera del 9 gennaio la maggior parte degli africani, temendo per la propria vita, è salita sui pullman diretti nei centri di accoglienza. Il 12 gennaio i vigili del fuoco hanno demolito la fabbrica dove molti immigrati vivevano in condizioni disumane.
Come spiega Campolo, già prima della rivolta il comune aveva ricevuto dei fondi per rimuovere l’accampamento e costruire un parco giochi e delle aree sportive. È previsto anche un centro di accoglienza per gli immigrati. Il progetto andrà avanti, spiega Campolo, “per quando gli immigrati
torneranno”.
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Da Internazionale nr. 829
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