Il profeta - di Jacques Audiard 2010
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: neoneoneorealismo?
Francia, oggi. Malik El Djebena è un diciannovenne di origini arabe, analfabeta, senza famiglia e senza passato. E' arabo come si evince appena dai tratti somatici e dal fatto che mastichi l'arabo così come il francese (malino), ma guarda dai vetri della porta i musulmani mentre pregano. Ne facciamo la "conoscenza" mentre entra in carcere per sei anni, con un niente come effetti personali, e ne intuiamo solamente lo spaesamento e il terrore. Il carcere è grigio, claustrofobico, neppure così cattivo, agli inizi; almeno, questa è l'impressione. Non è perfetto, ma ci immaginavamo peggio.
César Luciani è un anziano boss malavitoso corso, dentro lo stesso carcere, dove possiede, a differenza di Malik, appoggi e aderenze a non finire, insieme ad una cerchia che lo spalleggia. Si accorge di Malik, e lo fa avvicinare da uno dei suoi scagnozzi. Ecco che per Malik cominciano le prove di sopravvivenza, ecco che anche allo spettatore si "aprono" le porte del vero carcere: Malik dovrà uccidere un altro detenuto, oppure sarà ucciso. Prova di coraggio o esecuzione programmata, non ci è dato sapere: Malik, traballante, la esegue, e ne esce ovviamente diverso. Comincia così, per lui, una doppia, tripla, quadrupla vita. Diventa un "servo" di Luciani, ma si fa altre amicizie, si tiene aperte altre porte. Trova perfino un amico vero, al di là di questioni di sopravvivenza carceraria. Impara un lavoro, si iscrive alla scuola del carcere, impara a leggere, a scrivere, a pensare, a riflettere, a ponderare, nello stesso tempo in cui impara ad agire. Attento a tutto quello che gli accade intorno, oltre a perfezionare il suo francese, apprende pochi ma basilari rudimenti di lingua corsa, ascoltando i dialoghi della "banda" alla quale ormai, per gli altri, lui appartiene (lo scoprirà in momenti di difficoltà, e anche di questo saprà far tesoro). Obbediente a Luciani, diventerà un detenuto modello, per avere dei permessi di uscita di 12 ore alla volta, in modo da compiere missioni con un sempre più alto livello di difficoltà, per conto del corso. Missioni dalle quali saprà, ancora una volta, conservare esperienza e conoscenza, divenendo fine stratega, con una buona dose di fortuna: le dinamiche del carcere cambiano, man mano che i detenuti entrano ed escono, così come cambiano quelle sociali, nazionali e mondiali. Non è finita qui: con l'aiuto dell'amico "vero" Ryad, uscito prima di lui, pianifica un futuro per quando sarà definitivamente fuori, un futuro che va oltre all'immaginabile, e, al tempo stesso, impara a convivere quasi fisicamente con il suo senso di colpa, "passando" del tempo fianco a fianco con la visione onirica di Reyeb, la sua vittima "iniziale".
Lasciamo Malik appena dopo la sua uscita dal carcere, e il quadro che esce dal campo visivo è più che esplicativo. Il carcere è stata la sua formazione, il suo passaggio da ragazzo a uomo nuovo.
Quinto film per il francese Audiard, terzo di quelli distribuiti anche in Italia; dopo Sulle mie labbra e Tutti i battiti del mio cuore, finalmente anch'io ho messo a fuoco il tema portante dell'opera del regista: la comunicazione. E chissà se questo Il profeta sarebbe stato ugualmente distribuito in Italia, se non fosse arrivata la nomination all'Oscar nella categoria Foreign Language Film. Ora, c'è da fare una doverosa premessa, prima di parlarne ancora diffusamente: se ne avrò il tempo, tornerò a vedere questo film in una sala italiana, solo per capire lo scempio che ne sarà fatto dal doppiaggio "obbligatorio". Se avete letto il riassunto della trama, avrete capito che, proprio per il fatto che la comunicazione è il (o uno dei) tema portante, questo film è recitato in francese, ma pure in arabo e in corso (Niels Arestrup, in pratica l'attore professionista più famoso del cast, pare abbia imparato appositamente il corso per questo film), ed entrambe le lingue meno usate sono le chiavi dell'ascesa di Malik, per cui vediamo come queste chiavi saranno interpretate.
Detto questo, il film conferma le qualità di Audiard, un regista eclettico ma al quale piace strizzare l'occhio al gangster-movie, genere che però piega alle sue esigenze di comunicazione. Un regista che sa scegliere storie assolutamente fuori dal comune, usandole come metafore della società di oggi, non risparmiando critiche alle istituzioni, senza però prendere posizioni nette, lasciando allo spettatore la repsonsabilità di giudizio.
La messa in scena è quantomai realistica, il carcere è assolutamente credibile senza essere spettacolarizzato (e dire che è tutto ricostruito), le vicende plausibili, alcune scene da ricordare. Non è un film esente da difetti: la complessità delle vicende stesse lo rende abbastanza intricato, un po' troppo lungo, e l'attenzione alla ricostruzione rende il tutto troppo freddo. Niente e nessuno è perfetto.
La direzione degli attori è notevole, e oltre a Adel Bencherif (Ryad) e al già citato Niels Arestrup (César Luciani), ottimi supporting role actors, è impossibile non spendere qualche parola in più per il protagonista assoluto, Tahar Rahim, incredibilmente perfetto nell'incarnare un personaggio "vergine" e il suo mutamento.
Continuo a preferire, nella cinquina dei film "stranieri" per l'Oscar, El secreto de sus ojos e Il canto di Paloma, ma anche questo Il profeta merita una chance.
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