Ma quando arrivano le ragazze? – di Pupi Avati 2005
Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)
Giudizio vernacolare: palloso
Gianca, anche voce narrante, è il figlio di una coppia della buona borghesia bolognese; il padre (un ottimo Johnny Dorelli) è un musicista frustrato, ma affermato commercialista, che vuole con forza dal figlio l’affermazione in campo musicale che a lui è stata negata "da quelli stronzi". Sul treno per Perugia, diretti a un seminario organizzato da Umbria Jazz, si incontrano Gianca, appunto, e Nick, trombettista "a orecchio", e nasce una profonda amicizia, che verrà messa a dura prova negli anni dal legame di Nick con la sorella di Gianca, dalla band messa su insieme, dalla presa di coscienza da parte di entrambi dall’abbondanza di talento di Nick e della mancanza dello stesso da parte di Gianca, e dall’ingresso nella vita di tutti e due di Francesca, ingresso fortemente voluto da Gianca, che ne diventa intimo in stile "avvoltoio", per poi fidanzarcisi.
Avati illustra come sempre, dinamiche d’amore e d’amicizia; stavolta, con una punta di autobiografismo (pare che Gianca sia lui da giovane e Nick il suo amico Lucio Dalla, ovviamente un Dalla non cantante ma trombettista, per confondere le acque e per non eseguire proprio una copia della sua storia personale). Il risultato è un film che si sviluppa più sulle pagine di critica che sullo schermo. La visione, infatti, lascia un po’ freddi, inoltre, visto che la storia dà ampio spazio alla musica, lascia atterriti leggere che Andrea Dell’Ira, trombettista chiamato a suonare il concerto in mi maggiore di Hummel, che nel film Nick interpreta nella doppia scena iniziale/finale, abbia insegnato le esatte posizioni del trombettista a Claudio Santamaria (Nick appunto); evidentemente, Avati non ha pensato agli altri musicisti, ad esempio al batterista del Joy Spring Quartet, la jazz band dei due protagonisti, che non ne azzecca una che sia una, facendo in modo da rendere le scene musicali (tante) davvero imbarazzanti. In un film dove la musica è una delle protagoniste, pare davvero brutto. Senza parlare del difetto comune a una valanga di film italiani, i dialetti degli attori. Perchè i personaggi di contorno parlano almeno emiliano e i protagonisti no? Non lo scopriremo nemmeno vivendo secondo me.
Bisogna però riconoscere al film che le tematiche trattate (l’amicizia, l’amore non corrisposto "perfettamente" ma "accettato" come "alternativa" ad una vita senza talento o senza certezze) sono semplici ma attuali, e invitano alla riflessione.
Briguglia con la sua impassibile faccia da bambino al quale hanno rubato il lecca-lecca, e la Puccini (alla quale consigliamo di stirarsi i capelli più spesso, visto che sta decisamente meglio) lasciano molto a desiderare, mentre Santamaria, con quella faccia un po’ così, fa sempre la sua porca figura.
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