No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20110209

lo scudo




The Shield - di Shawn Ryan - Serie completa (7 stagioni; FX) - 2002/2008



Lo so, su The Shield è già stato detto tutto. Quindi, probabilmente quello che leggerete di seguito vi sembrerà ridondante, già sentito, già letto.

La migliore serie tv di sempre? Può darsi. Può darsi. Certamente, tra le migliori.

Sicuramente in debito rispetto a The Sopranos, contemporanea di The Wire, rispetto alla quale "incarna", passatemi il paragone, il lato oscuro, è ispirata alle vicende dello Scandalo Rampart, un gigantesco caso di corruzione, omicidio, abuso di potere e molto altro ancora, che coinvolse l'unità C.R.A.S.H. di tale divisione; la C.R.A.S.H. era un'unità speciale anti-gang della L.A.P.D., e fu chiusa nel 2000, soprattutto in seguito al caso poc'anzi citato.

Ma non è solo una storia di alcuni poliziotti corrotti, o che usano metodi poco regolari. E' una sfida allo spettatore. L'empatia è rischiosa, nel caso di The Shield. Ogni personaggio ha un lato oscuro. Nessuno è perfettamente limpido, ligio al dovere, trasparente: perfino un carattere come il detective Claudette Wyms, alla fine, tenta di nascondere qualcosa. Senza contare che, per assurdo, il suo stare sempre e comunque dentro alle regole, la porta a eccessi pericolosi, e a divenire perfino antipatica.

Non finisce qui. Vista da un'ottica politica, Shawn Ryan è certamente un provocatore (e ha fatto pure scuola, visto che uno dei suoi collaboratori più stretti, Kurt Sutter, che nella serie interpreta Margos Dezerian, l'armeno folle e sanguinario, ma che soprattutto era nel team degli sceneggiatori, si è spinto ancora oltre con Sons Of Anarchy, da lui creata, che potremmo perfino considerare una sorta di spin-off, ma ne parleremo a tempo debito): politicamente (molto) scorretto, corre sul filo di una giustizia violenta ma altamente efficace, ricatta lo spettatore ventilando l'idea che il male minore, in una situazione esplosiva, come quella di un calderone di etnie tesissimo, quale è la Los Angeles delle gang, è controllare, patteggiare, mettersi nella posizione di dialogare (eufemismo) con chi fa del traffico di droga, traffico di armi, della prostituzione, la propria attività principale. La domanda che mi è rimbalzata per giorni, durante e dopo la visione dell'intera serie, era: Shawn Ryan è un repubblicano filo-Tea Party che vuole dimostrare la validità di una polizia con licenza di sopraffazione, della pena di morte e di una certa giustizia sommaria, oppure è un democratico (inteso come schieramento politico statunitense) che si pone delle domande, estremizzando alcune situazioni, nemmeno troppo fuori dal mondo? La domanda, tenetene di conto, si riproporrà pari pari per Sons Of Anarchy.

Ma questo, in definitiva, è il contesto, anche se non fa semplicemente da sfondo. Il nucleo principale e portante della storia, è paragonabile al crollo delle ideologie. Lo so, è un po' audace come paragone. Seguitemi.

Lo Strike Team (nell'originale, nella versione italiana Squadra d'assalto), capitanato con mano forte, ma pure con capacità innegabili, dal detective Vic Mackey, è una scommessa necessaria, in una situazione praticamente di guerra urbana. Ha un potere non indifferente, e quello che non ha, se lo crea grazie soprattutto all'abilità di Vic. Questo potere li mette nella condizione di essere tentati di arricchirsi, quasi in maniera lecita, perché lo farebbero a discapito di una organizzazione mafiosa e sanguinaria, senza quindi commettere atti illeciti (più o meno). Questa operazione è l'inizio della loro fine, ma il percorso è più spesso affascinante, seppur macchinoso, che arzigogolato o forzato (ai fini della trama).

Questo, vi metterete sicuramente a ridere, per farla breve. Se, invece, volessimo tirarla per le lunghe, potremmo parlare diffusamente di tutte le sottotrame introdotte un po' alla volta, durante le sette stagioni di The Shield. Vi basti pensare, se ancora non sapete di cosa si tratti, che già solamente all'interno dello Strike Team, formato basicamente da quattro persone, alle quali di volta in volta si aggiungono, e si perdono, dei pezzi, ci sono delle dinamiche che basterebbero per ricavarci un film con alcuni sequel. Ma all'Ovile (Parentesi necessaria: è il nome della centrale nella versione italiana. E' ricavato in una chiesa sconsacrata. In realtà, nella versione originale è The Barn, e, insieme a Rampart - vedi in apertura - era stato considerato come titolo della serie. Il barn in inglese è un fienile, o un granaio) ci sono molti altri poliziotti, detective, e ci sono dei superiori, che man mano cambiano, qualcuno fa carriera, poi ci sono le inchieste degli Affari Interni, naturalmente sullo Strike Team, e i poliziotti incaricati, poi ci sono i familiari di molti poliziotti protagonisti, poi ci sono i malviventi, e così via, per una serie infinita di personaggi, molti dei quali delineati, anche poco, ma che concorrono alla creazione di tutta una serie di dinamiche mirabili e funzionali.

Insomma, la cosa impressionante, nonostante i difetti, che pur ci sono, è che tutto questo funziona. E funziona dannatamente bene.



Dal punto di vista tecnico, la scelta è piuttosto ruvida. Camera a mano, che contribuisce ed esalta il nervosismo continuo ed a tratti esasperato del tutto, fotografia sgranata e spesso piena di luce, quasi a ricordarci che siamo a Los Angeles, primi piani stretti utilizzati spesso, scene d'azione a non finire seguite col fiatone dalla camera.

Colonna sonora che pesca a piene mani tra gangsta hip-hop, musica ispanica moderna, hard rock (anche old style), che rimane in secondo piano, ma che fa parte dell'ambiente, spesso lo impregna.

Il cast è talmente esteso, che occorrerebbe troppo tempo per parlarne in maniera almeno sufficiente, e quindi sicuramente, citando qualche nome, scontenterò qualche spettatore che ha visto la serie. E' impossibile però, non parlare, almeno per un momento, di una delle diverse guest star che, con una media di una a stagione (non precisamente, ma quasi), vengono inserite nel cast stesso: Forest Whitaker, che, nelle stagioni 5 e 6, interpreta il tenente Jon Kavanaugh degli Affari Interni. Una parola sola: eccezionale. Nonostante il personaggio si accanisca sul protagonista, Vic Mackey, che pure non è uno stinco di santo, è impossibile non odiare la figura di Kavanaugh. Impossibile. Grande interpretazione, per uno che, certo, non è nuovo a grandi prestazioni. Voglio citare due altri interpreti, prima di "arrivare al dunque": Walton Goggins nei panni di Shane Vendrell, molto bravo a disegnare una delle figure più tragiche della serie, e Jay Karnes, che è il detective Holland Wagenbach, altra figura contraddittoria e sfaccettata, molto interessante e umana (ve ne riparlerò nella recensione delle prime tre stagioni di Sons Of Anarchy; per adesso vi basti la mia teoria - ma non credo sia solo mia -, secondo la quale Wagenbach, probabilmente il miglior detective del distretto di Farmington - il quartiere fittizio dove è ambientato The Shield -, è potenzialmente un serial killer), altrettanto bravo.

Non posso esimermi, però, dallo spendere qualche parola su Michael Chiklis. L'interprete del protagonista assoluto, il detective Vic Mackey (curiosità: Cassidy Mackey, la primogenita nella serie, è Autumn Chiklis, la sua figlia più grande nella vita), era già mediamente noto per la serie The Commish, in Italia Il commissario Scali, andato in onda su Canale 5, dove Chiklis era praticamente un'altra persona (guardate le foto), ed interpretava un poliziotto che è l'esatto opposto di Mackey. Ma con The Shield, così come The Sopranos per James Gandolfini, Chiklis dimostra di essere un attore super, capace di una quantità di espressioni pressoché infinita, oltre che di una fisicità debordante (tanto che, nel periodo di lavorazione e messa in onda di The Shield, è stato chiamato per due volte ad interpretare Ben Grimm/La Cosa ne I Fantastici Quattro, e nel sequel I Fantastici Quattro e Silver Surfer). E riesce a rendere amabile un personaggio spregevole.



The Shield ha pure qualche difetto, qualche puntata troppo macchinosa e con troppi intrecci da seguire, qualche sottotrama aperta e poi lasciata da parte, o addirittura non chiusa, c'è perfino chi si è lamentato di una stagione intera, la sesta, che risulterebbe solo un passaggio per il gran finale della settima ed ultima. Ma, guardandola nella sua interezza, guardando, come dicono spesso gli statunitensi, the big picture, il quadro complessivo, è un capolavoro televisivo assoluto. Che nessuno dovrebbe perdersi.

3 commenti:

monty ha detto...

Finalmente!
In qualche modo è un peccato tu l'abbia visto in blocco.
In caso contrario le recensioni sarebbero state sette...
:-)

jumbolo ha detto...

Mi pare un complimento, e ti ringrazio.
Parlando seriamente, comincio a pensare che sarebbe il metodo corretto per valutare, appunto, the big picture. La cosa bella di certi serial, è che non ce la fai ad aspettare!

lafolle ha detto...

hai ragione.
per ora ancora la serie numero 1!
ricordo l'attesa per le ultime puntate della serie...
bellissima recenzione