No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20080605

ancora su Don Milani


Da Liberazione di oggi, a proposito di quello di cui parlammo qui.



E' giusto abbandonare gli stereotipi

(di destra e di sinistra) su don Milani
A Mario Lancisi, giornalista e scrittore, autore di vari saggi e libri su Don Lorenzo Milani, abbiamo chiesto un parere, dopo l'intervento del ministro della cultura Sandro Bondi che ha messo in discussione l'appartenenza alla sinistra del pensiero del priore di Barbiana.


Mario Lancisi

Caro direttore, condivido pienamente l'auspicio da te espresso nell'editoriale del 25 maggio ("Bondi, stavolta hai ragione tu: riprendetevi don Milani") perché «il mondo cattolico, anche quello moderato e centrista del quale il ministro fa parte, riscopra Don Milani, lo studi, lo sperimenti, è una cosa che trovo meravigliosa».Don Milani sdoganato anche dal centrodestra: era l'ora. Finalmente verranno meno, lo spero, le strumentalizzazioni di parte, le facili etichette e le indebite annessioni, che ne hanno limitato una comprensione più profonda.La Chiesa ha esaltato l'ortodossia di don Milani in contrapposizione a qualsiasi tentativo di approfondire la carica eversiva della sua opera e del suo pensiero rispetto al potere religioso e politico. Un prete obbediente, non un agitatore sociale. La sinistra lo ha usato spesso come clava polemica contro il tradizionalismo cattolico e il conservatorismo democristiano, ma ha evitato, soprattutto sui temi della scuola e della guerra, di farci seriamente i conti. Infine la destra è passata dalla criminalizzazione del prete rosso e del precursore dell'odiato '68 ad una lettura strumentale di spezzoni di frasi (ad esempio sulla scuola privata).E' l'ora di finirla con questi stereotipi sul priore di Barbiana. Non solo per amore della verità storica, ma soprattutto perché una lettura superficiale, strumentale e da marketing politico del pensiero di don Milani ci preclude la possibilità di cogliere appieno la grandezza e la straordinaria attualità di «uno dei due più grandi intellettuali del secondo novecento», come scrivi tu. L'altro, e concordo, è stato Pasolini, e tra i due ci sono stati felici annusamenti.In realtà don Milani è stato sottovalutato come grande intellettuale, come straordinaria coscienza critica della società italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, perché si è trovato ad operare nell'Italia della guerra fredda, stretto tra troppe chiese, lui che era, come sottolinei, un idolatra della verità senza "se" e senza "ma".La fretta dell'imbalsamazione, del santino religioso e politico è prevalsa sulla capacità di farsi interpellare, mettere in discussione, come invece fece ad esempio Pietro Ingrao che, nel 1965, salì a Barbiana e si sottopose al processo senza riguardi cui il priore e i suoi ragazzi era solito sottoporre gli ospiti, specie se famosi.Don Milani fu un prete, un uomo di Dio e del Vangelo: su questo non ci sono dubbi. Però dalla radice di una forte esperienza di fede e di ortodossia ecclesiale, è cresciuto un tronco d'albero, un pensiero civile, culturale e sociale che può essere usufruibile da quanti lottano per una società più democratica, socialmente giusta, pacifica e non violenta.Don Milani fu ordinato sacerdote nel 1947, a 24 anni, e morì il 26 giugno del 1967. In vent'anni ha prodotto tre opere che hanno affrontato temi cruciali del secondo Novecento. Nel 1958 uscì "Esperienze pastorali", libro vietato dal Sant'Uffizio, che anticipò il concilio Vaticano II: l'uomo al centro dell'universo e la Chiesa al suo servizio in spirito missionario, e non viceversa come era stato fino ad allora. Una rivoluzione copernicana.Nel 1965 è stata la volta di "L'obbedienza non è più una virtù", libro che conteneva due lettere, ai cappellani militari e ai giudici (per la prima don Milani fu processato e condannato in appello): in esso il priore di Barbiana demolì il concetto di guerra giusta, argomentò che nelle guerre contemporanee le vittime sono soprattutto i civili ed esaltò il primato della coscienza. L'odierno movimento pacifista, da Gino Strada ad Alex Zanotelli, sbandiera i concetti che don Milani anticipò nel 1965.Infine nel 1967 "Lettera ad una professoressa", venduta in milioni di copie e tradotta anche in cinese, dove si affronta il problema della scuola, della selezione scolastica e si propone la pedagogia dell'aderenza (al proprio territorio, alla classe sociale dei poveri e degli oppressi) e si avanza l'idea di una cultura «vera, viva e laica».Vent'anni, tre opere fondamentali. Un pensiero e una vita esemplari, di grande attualità. Da studiare con rigore scientifico. Da farci i conti senza sconti. Senza pregiudizi, etichette e gelosie da vestali un po' inacidite. Don Milani appartiene alla sua Chiesa, ma anche alla società italiana. Se l'apertura di Bondi può aiutare in questo, ben venga.Caro direttore, concludo con un passo del mio ultimo libro (scusami l'autocitazione), "Don Milani, la vita", edito da Piemme, in cui riporto un carteggio poco conosciuto, ma stupendo tra il giovane don Milani e un suo cugino molto colto e ricco che si trovava in America. Era il 1947, nell'Occidente incombeva la paura del comunismo. Don Lorenzo (aveva solo 24 anni) rassicura il cugino che non è il comunismo la causa del venir meno dei valori spirituali e aggiunge: «Ma non è meglio morir di fame in un mondo nuovo e anelante a una nuova giustizia, più larga, più universale, senza barriere di classe, di nazione ecc, piuttosto che ingrassare in un mondo che sta per morire?». Poi don Milani aggiunge: «L'America non è più il Nuovo Mondo, il Vecchio, quello che sta morendo, mentre da quest'altra parte non ci sarà ancora il mondo nuovo che nasce, ma certo siamo in quella direzione».Difronte all'Occidente che brandisce l'identità cristiana contro l'Islam e ai teocon che benedicono la guerra di Bush contro l'Iraq e il mondo altro dal nostro, queste parole di don Milani sono di straordinaria attualità. Un esempio di come possa essere utile, e sorprendente, riscoprire il priore di Barbiana «sine glossa». Come alla lettera egli cercò di vivere il Vangelo di Gesù di Nazareth.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Purtroppo la Chiesa italiana non ha ancora capito la “profezia” di don Milani, né che grande dono è stato per lei. Nei vari anniversari, non una parola da parte della Conferenza Episcopale Italiana sulla sua figura. Che vergogna! “Il suo maggiore tormento - scriveva Liana Fiorani - fu di non essere riconosciuto come prete al centro della Chiesa e non ai margini. Voleva essere prete, nient’altro che prete!”

Più intelligente, in questo, il politico Veltroni che ha scippato il motto di don Milani “I care” per farlo divenire quello del suo partito. Senza però assumere lo spessore politico del pensiero del priore di Barbiana. Questo significa strumentalizzare don Milani! Allo stesso modo non è giusto sbandierare Korogocho senza assumere le istanze politiche degli impoveriti (come è stata deludente in questo senso la risposta di Veltroni alla lettera aperta che gli avevo rivolto dalle pagine di “Nigrizia”!).

Francesco Spinelli Falerna CZ