Departures - di Yôjirô Takita 2010 (uscita italiana)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: firme da toccatura di 'ollioni fissa
Daigo è un giovane violoncellista di un'orchestra, sposato con Mika, mogliettina soave e devota. Un bel giorno, dopo tanti sacrifici fatti per acquistare il violoncello dei suoi sogni, l'orchestra dove suona si scioglie. Deluso, oltre che senza lavoro, decide di tornare al paese natale, una cittadina piccola ai margini della campagna. Mika lo segue senza battere ciglio.
La casa di famiglia, lasciatagli dalla madre, mentre del padre, che abbandonò la famiglia quando lui era piccolissimo, Daigo non riesce a ricordare nemmeno i tratti del volto, è piccola ma accogliente, benché piena di ricordi.
Mentre cerca tra le offerte di lavoro, si imbatte in un annuncio che parla di partenze, e che sembra quello di un'agenzia di viaggi. Nessuna esperienza richieste, per cui Daigo si presenta prontamente. Non è propriamente quello che pensava: si tratta di una specie di impresa di pompe funebri, ma con il "valore aggiunto" della pratica del Nokanshi, una pratica giapponese che, a grandi linee, consiste nella pulizia del corpo del defunto in maniera rituale, nella vestizione e nel trucco del volto, il tutto davanti alla famiglia e agli invitati alla veglia. Il proprietario vuole "formare" un successore, ed ha proprio bisogno di una persona senza esperienza, disposta ad apprendere silenziosamente una tradizione che, tutto sommato, fa pure guadagnare molto bene.
Daigo è inizialmente scioccato e prova repulsione e nausea, ma spinto all'inizio soprattutto dal bisogno, accetta, si fa convincere dal proprietario, una persona di pochissime parole, ma molto pragmatico, e dalla segretaria, donna gentile e affabile. I problemi vengono dall'esterno: qualche vecchio conoscente, quando viene a sapere del suo nuovo impiego, comincia a trattarlo male, e la moglie Mika, quieta e remissiva fino a quel punto, gli impone un aut aut. O lascia il lavoro, oppure lei torna da sua madre, a Tokio. Daigo, fino a quel punto uomo apparentemente incapace di prendere decisioni forti, non lascia il lavoro.
Stranezze della distribuzione italiana, il film vincitore dell'Oscar come miglior film di lingua non inglese dell'anno passato, esce adesso, un Oscar dopo. La critica specializzata si sbizzarrisce immediatamente con paragoni e stroncature varie. Questo Okuribito, che esce col titolo inglese, non è un assoluto capolavoro, ed è pure un film con il difetto di un'eccessiva lunghezza, ma trovo sia un buon film che, prendendo a pretesto la morte, ci parla in fondo della vita.
Con un incedere tipicamente asiatico, ma con dei tempi comici molto ben sviluppati, con recitazioni giuste per il film, Departures ci racconta di una presa di coscienza, di come anche una persona insicura di sé, col morale sotto i tacchi e con l'autostima a pezzi, incontrando le persone giuste possa imparare ad apprezzare la vita per quello che è, e perfino ad affrontare le ferite più profonde dell'anima. E Masahiro Motoki, il protagonista che interpreta Daigo Kobayashi, è perfetto per la parte senza né annoiare, né andare sopra le righe.
Fotografia vagamente crepuscolare, che rende un po' claustrofobico il paesino dove Daigo ricostruisce la sua esistenza, campi lunghi e panoramiche che ci mostrano un Giappone meno conosciuto, ma non meno affascinante, che si alternano a primi piani sui protagonisti sempre in bilico tra commedia e dramma. Un film dalla leggerezza unica e dal tocco sapiente.
2 commenti:
ne scrissi qualche mese fa. vedo che siamo più o meno sulla stessa lunghezza d'onda anche se io il protagonista un paio di volte l'ho trovato decisamente sopra le righe.
Perduto il lavoro di violoncellista, Daigo riflette sui propri sogni e sul proprio talento e decide infine di lasciare la musica e trasferisi in campagna con la moglie Mika, nella casa ereditata due anni prima dopo la morte della madre.
Nella casa dell'infanzia Daigo lentamente ritrova i ricordi d'infanzia che lo legano al padre, fuggito anni prima con un'altra donna quando il protagonista aveva 6 anni, nel frattempo trova un nuovo lavoro: preparare i corpi dei defunti per l'addio dei parenti. Dopo un iniziale imbarazzo e disgusto, Daigo trova un significato in questa strana professione (un mestiere legato alla tradizone giapponese), e una propria catarsi in essa, ma i conoscenti e la moglie, non approvano.
Potrei anche raccontare il resto della trama, senza rischio di spoiler in quanto l'imprevedibilità dell'intreccio non è certo il punto di forza di questo film (lungo peraltro 2h10') i turnpoint sono piuttosto telefonati e alcuni simbolismi piuttosto banali. La regia di camera non è sempre eccelsa (il crane nelle riprese "musicali" pare a volte usato un po' a caso), fotografia piatta (ma potrebbe essere una scelta azzeccata) e recitazione (del protagonista) in alcuni momenti davvero troppo enfatizzata e "fumettosa".
Eppure (si, perchè dopo tutto questa tiritera sui difetti, doveva arrivare un "eppure") il film ha un suo potere "magnetico" che cattura fin dalla prima bellissima scena, in cui ci viene mostrata la ritualità della professione del protagonista con rigore ed allo stesso tempo con delicatezza (ottima coreografia, montaggio e uso del punto macchina).
È infatti nelle splendide scene di "preparazione" che il film risplende, ed infatti è a queste scene che vengono affidati i momenti più intensi della pellicola, in cui i personaggi arrivano a comprendere qualcosa di se stessi e forse della vita e della morte.
Forse non del tutto meritevole dell'Oscar vinto nel 2009, probabilmente appesantito da una mezz'oretta di troppo, Okuribito è certo un film inusuale che merita attenzione, e che nonostante i difetti riesce a commuovere quando deve e probabilmente a muovere una riflessione nello spettatore.
Belle musiche,
fan di Vin Diesel astenersi.
grande ale...
sempre sul pezzo!;-)
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