No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100424

עג'מי‎


Ajami - di Scandar Copti e Yaron Shani 2009


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: è brutto dillo ma noi un ci si dovrebbe lamentà


Ajami, grande sobborgo dell'area metropolitana Tel Aviv/Jaffa. Qui convivono, in che maniera lo vedrete nel film, arabi, ebrei e perchè no, cristiani. Qui, ad Ajami, si intrecciano quattro storie. Quella di Omar, arabo, narrata attraverso gli occhi e i disegni del fratello più piccolo, la cui famiglia è minacciata da un altro clan, a causa di una sparatoria e il conseguente ferimento di un appartenente al suddetto clan da parte di un loro zio; Omar chiede aiuto, per trattare un accomodamento, al padre di Hadir, la ragazza che ama, di famiglia cristiana, che lo aiuta ma che ovviamente si opporrebbe ad un eventuale storia tra i due. Per il padre di Hadir lavora Malek, un rifugiato palestinese che si trova illegalmente ad Ajami per pagare le cure ospedaliere della madre gravemente malata. Un altro loro comune amico palestinese, Binj, è fidanzato con un'ebrea che vuole sposare. Poi c'è Dando, un poliziotto ebreo sconvolto dalla sparizione del fratello minore. Il film è diviso in capitoli, e parte con l'uccisione, per sbaglio, di un amico della famiglia di Omar, davanti alla loro casa, per la faida spiegata prima.


Definito il Gomorra palestinese, ed avvicinato pure a City Of God, come pure ai primi film di Pasolini (ma la più centrata mi pare la definizione di Owen Gleiberman su Entertainment Weekly che parla di un "Amores Perros israeliano incrociato con City Of God"), Ajami è un film di speranza (la speranza della convivenza pacifica per tutti) molto violento, che non fa sconti, messo in piedi da una coppia di registi (uno dei quali appare anche nei panni di Binj) assortita: Shani è israeliano mentre Copti è un cittadino palestinese di Israele, nato e cresciuto a Jaffa.

Gli attori sono in buona parte non professionisti, ma questo non ne inficia la riuscita, anzi. Il film ha come unico difetto una durata sostenuta (poco meno di due ore e mezzo), ma ha dalla sua una sceneggiatura solida per una trama complessa ma avvincente, che riesce ad immergere lo spettatore nella realtà caotica, complicata, rabbiosa, confusionaria, trasgressiva, mafiosa, miserabile, arcaica, e chi più ne ha più ne metta, dei territori medio-orientali e del loro calderone pieno di questa mescolanza etnico-religiosa. Non senza un tocco di poesia.


Speriamo solo che un giorno il film sia distribuito anche in Italia: come forse ricorderete, era nella cinquina dei nominati all'Oscar 2010 come miglior film in lingua non inglese (è, infatti, recitato in arabo ed ebraico).

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