Mammuth - di Benoit Delépine & Gustave Kervern (2010)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: si vede che ha fatto la recrame della pastasciutta vai..
Provincia francese. Serge Pilardosse ha lavorato gli ultimi 10 anni in uno stabilimento di insaccati, non facendo mai un giorno d'assenza. E' enorme, pachidermico, ed è detto Mammuth non solo per la sua stazza, ma anche perchè la sua passione giovanile era una moto, una Munch Mammut, ma buono fino all'inverosimile. Se la prende solo un poco con gli oggetti. Certo, non è quello che si direbbe un'aquila: molti sostengono che è stupido.
Arriva il giorno della pensione, e Serge si accorge che gli mancano delle dichiarazioni che valgano come contributi per avere diritto ai soldi della pensione, e sono riferiti a lavori saltuari che ha fatto anni prima. Serge è inoltre inadatto, o quantomeno incapace di oziare, e per i primi giorni si aggira per casa e per il paese come un felino in gabbia, più che come un pachiderma. Vista la situazione finanziaria, la moglie Catherine, donna spiccia che però vuole un gran bene al marito, lo spinge ad inforcare di nuovo la moto, per andare a cercare i suoi vecchi datori di lavoro, e rimettere insieme il suo passato, per godere finalmente di una rendita senza dover più faticare.
Mammuth troverà molto di più.
Diciamolo subito: non mi aspettavo un film del genere dai registi di Louise + Michel, e a questo Mammuth manca qualcosa per divenire immediatamente un culto come il precedente, ma se non siete spettatori che cercano cose prevedibili, di certo non rimarrete delusi. Mammuth è ovviamente una sorta di on the road con una serie impressionante di scene madri assurde ma esilaranti, guidate dall'umorismo, come ebbi già a dire, vagamente alla Monthy Python dei due francesi (Kervern è nato alle Mauritius, per essere precisissimi), che nonostante il finale buonista, riesce a conservare una certa cattiveria e una sfacciataggine non comune (si veda, su tutte, la scena del reincontro di Serge col cugino Pierre, interpretato da Albert Delpy - il padre di Julie -, semplicemente fantastica). Metafore continue, distribuite a piene mani, in ogni momento del film, una scelta di fotografia completamente perdente (gli esperti dicono si tratti di un Super 16 mm reversibile, vi accorgerete che è strano, ma non mettetevi ad urlare "fuocoooooo", vi ho avvertito), Mammuth sembra un'agrodolce riflessione su un mondo che non ci piace, ma che dobbiamo imparare ad accettare.
Attori lasciati liberi di improvvisare, il cast è ovviamente dominato da un enorme (in tutti i sensi) Depardieu (se avrete la pazienza di aspettare la fine dei titoli di coda vi accorgerete inoltre che i due registi hanno dedicato il film ad un certo Guillaume), che nonostante le extension risulta meno ridicolo di quanto avreste potuto supporre, e rilascia una prova probabilmente indimenticabile, poi ci sono la sempre divertente e brava Yolande Moreau (Catherine), una inquietante Isabelle Adjani (l'ex fidanzata di Serge), bellissima nella sua plastificata eterna giovinezza, che viene fatta recitare con lo sguardo fisso nel vuoto, la sorpresa Miss Ming (Solange) che recita in pratica se stessa, artista francese poliedrica, attiva anche musicalmente con lo pseudonimo di Candy Rainbow, e una sempre irresistibilmente bella Anna Mouglalis (la truffatrice con le stampelle). Mi ha colpito pure la piccolissima ma deliziosa parte di Catherine Hosmalin, che è Danièle, la collega con la quale Catherine parte all'inseguimento della truffatrice.
Io dico che non dovreste perdervelo. E non stupitevi se, verso la fine, vi ritroverete un groppo alla gola. C'est la vie.
1 commento:
concordo, ale, soprattutto per quanto riguarda la fotografia!
non male, anche se il film precedente aveva qualcosa in più!
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