No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090304

la passione di un wrestler


The Wrestler - di Darren Aronofsky 2009


Giudizio sintetico: da vedere


Randy "The Ram" Robinson sopravvive facendo l'unica cosa che sa fare bene: il wrestler.

20 anni prima, era un grande del wrestling, uno dei migliori: i fans ancora ricordano il suo incontro con "L'Ayatollah", probabilmente il top della sua carriera, davanti a migliaia di persone in delirio.

Oggi, quando riesce a pagare l'affitto, vive in una casa mobile, quando non è costretto a dormire nel suo furgone. Porta un apparecchio acustico, ha una miriade di acciacchi fisici, è costretto a lavoretti saltuari in un supermercato, si allena ancora duramente ma sopporta male i carichi di lavoro, si imbottisce di farmaci e nei weekend combatte in palestre di periferia. E' solo. Non ha una compagna, e sua figlia non lo vuole vedere. E il peggio deve ancora arrivare...


Aronofsky, una grande promessa del cinema americano, 40enne che con le sue prime due prove sul lungometraggio (Pi greco - Il teorema del delirio, 1998, e Requiem For A Dream, 2000) mi ha ricordato non poco la visionarietà di David Lynch e di David Cronenberg, si riprende fortunatamente alla grande, dopo il clamoroso passo falso del suo terzo lavoro, The Fountain - L'albero della vita, uscito nel 2006. Questo The Wrestler è meno allucinato, schizzato, genialoide e adrenalinico dei suoi primi due film, ma riprende vagamente i temi di Requiem, usando uno spettacolo come il wrestling amatissimo in Nord America, per dipingere un meraviglioso loser che, ve lo prometto, non dimenticherete mai. Un'ottima e misurata sceneggiatura, del semi-sconosciuto Robert D. Siegel, che tira fuori dal cappello dialoghi, monologhi e battute indimenticabili, seppur vagamente retorici, aiuta Aronofsky che gigioneggia un po' meno con la macchina da presa, ma risulta molto efficace, aiutato da una fotografia poco sfarzosa riesce a rendere maledettamente credibile la storia e i personaggi, creando una magnifica empatia con lo spettatore che si sente proiettato dentro lo sfondo di questa storia amarissima e senza scampo, la provincia americana fatta di grigiori, distanze, locali di strip per gente annoiata e persone che tirano avanti come possono, un non-luogo dove il sogno americano è svanito, e sopravvive solo nei ricordi, come quelli che rimangono a The Ram.

Gli appassionati di Aronofsky riconosceranno alcuni luoghi e qualche fissa, com'è giusto che sia per i registi-maniaci; è proprio la mano sapiente, che riesce a non esagerare col nichilismo, la redenzione, il patetismo, in generale, quella ridondanza che affossava The Fountain (insieme ad un eccesso di misticismo e di smancerie romantiche). Ogni singolo spettatore diventa The Ram, che prova a ricostruirsi una vita, ci prova in tutti i modi, fino all'epilogo. Aperto, come sempre.

La colonna sonora è da appassionati di hair metal anni '80 (e a chi scrive non dispiace affatto, anzi; splendido il dialogo tra Randy e Cassidy subito dopo aver cantato i Ratt, non perdetevelo, e speriamo non perda il senso nel doppiaggio), ma la chiusura, sobria (contraltare dei titoli di testa) con la splendida The Wrestler di Bruce Springsteen sui titoli di coda: il testo dei pezzo del Boss è una specie di sunto della storia di Randy Robinson, un Bignami del film stesso.

Gli attori, adesso. Il fidanzato di Rachel Weisz (ebbene si: come si dice, tutte le fortune agli altri) si dimostra ancora una volta molto bravo a dirigerli. Evan Rachel Wood, nei panni della figlia Stephanie, oltre ad essere sempre più bella, è intensa seppur con un minutaggio ridotto. Marisa Tomei, nei panni di Cassidy la stripper è solo una conferma, e ci ricorda che ogni volta la vediamo sul grande schermo non riusciamo a capire perchè reciti così poco.

Last but not least, Mickey Rourke. Ha fatto bene Sean Penn, alla fine dell'acceptance speech (il discorso di ringraziamento dopo aver ricevuto l'Oscar), a citare i nominati e soprattutto Rourke. Perchè, signori, quella statuetta è di proprietà di quest'uomo, risorto dalle proprie ceneri, che in questo film si racconta non poco. Mickey Rourke E' Randy "The Ram" Robinson. E' lui e basta.

E vi assicuro che vale tutti gli euro del biglietto.

Non perdetevelo. Per nessun motivo. Niente altro da aggiungere.
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PS vediamo se dopo aver visto il film, qualcuno di voi coglierà l'allusione del titolo. E' molto facile.

1 commento:

Filo ha detto...

rispondo con più di un anno di ritardo: è un'allusione alla "Passione di Cristo" che viene citato nel film, immagino.