Real Fiction – di Kim Ki-duk (2000)
Giudizio sintetico: da vedere (4/5)
Giudizio vernacolare: che cervello ti cià chinchiducche dé
Un ragazzo vive facendo ritratti in strada. Viene continuamente maltrattato da tutti, clienti, uomini, donne, malavitosi che gli chiedono il pizzo. L’unica persona che non lo tratta male è una ragazza che insistentemente lo riprende con una telecamera. Lo convince a seguirla in un teatro, dove si recita una piéce dal titolo “L’altro io”. L’attore sul palco lo costringe a buttare fuori tutta la sua rabbia repressa. Il ritrattista si trasforma così in uno spietato killer, che uccide chiunque continui a maltrattarlo e chi lo ha maltrattato in passato. E’ finzione o realtà?
Innanzitutto, è interessante parlare di numeri a proposito di questo film. La leggenda dice che il film è stato girato in soli 200 minuti, riprendendo il tutto contemporaneamente con 10 cineprese e 2 digitali, con 11 assistenti alla regia e dopo 10 giorni di prove intense. Già questo ci dà la dimensione della sperimentalità del cinema di Kim, cosa che, ad esempio, lo avvicina alla genialità di Von Trier. Sappiamo inoltre che il coreano ha personalità, una personalità che si vede benissimo nelle cose che mette in scena, inoltre ama i rimandi di film in film. Ecco quindi la cicatrice sul collo che rivederemo in “Bad Guy”, tanto per dirne una. Questo è un film violento, come tutta la filmografia iniziale di Kim, violenza che ultimamente conserva sottopelle. Ed è un film dove, ancora una volta, si avvicina ad un altro maestro del cinema metafisico, Lynch, con la sovrapposizione di cui parla il titolo, con un gioco di bambole russe, o scatole cinesi, che si svela nel finale, la parte davvero sorprendente del film stesso.
Ancora una volta, viene il rammarico di non aver potuto gustare le sue opere in ordine cronologico, e la voglia di recuperare anche le sue primissime, ancora misteriose (“Wild Animals”, “Crocodile”, “Birdcage Inn”).
Un altro tassello di un regista che lascerà il segno.
Selvaggio e onirico.
Ancora una volta, viene il rammarico di non aver potuto gustare le sue opere in ordine cronologico, e la voglia di recuperare anche le sue primissime, ancora misteriose (“Wild Animals”, “Crocodile”, “Birdcage Inn”).
Un altro tassello di un regista che lascerà il segno.
Selvaggio e onirico.
2 commenti:
e segno anche questo!
:))
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