Kynodontas - di Giorgos Lanthimos (2009)
Giudizio sintetico: da non perdere (ma strettamente per appassionati) (4/5)
Giudizio vernacolare: di fori addumila
Un registratore a cassette. Una cassetta. Tasto play: una sorta di vocabolario registrato, ma con il senso delle parole che vengono di volta in volta spiegate, completamente stravolto. Chi ascolta sono tre persone, due donne ed un uomo, giovani. Finito di ascoltare la cassetta, si inventano un gioco. Sono strani. Un uomo più anziano fa salire in auto una ragazza con una divisa da guardia di sicurezza; la ragazza si benda, e si toglie la mascherina con cui si è bendata solo all'arrivo dentro al cortile di una casa spartana, ma con un enorme giardino, e una palizzata di legno altissima a delimitarne i confini. La ragazza, che si chiama Christina, e che, scopriremo, è l'unica ad avere un nome, si reca nella stanza di quello che riconosciamo essere il giovane uomo di prima. I due fanno sesso, un sesso meccanico, privo di qualsiasi sentimento, sia esso di natura libidinosa o romantica. L'uomo anziano, dopo, paga Christina, dopo di che si ripete all'inverso il percorso e il bendaggio. Poco a poco, la cosa si fa più chiara: un uomo e una donna, marito e moglie si suppone, hanno deliberatamente segregato i tre figli nella loro casa con giardino lontana da ogni centro abitato, negando loro l'esistenza di un qualsiasi luogo esterno, anzi, inculcando loro il terrore dell'esterno. Anche la madre non esce mai dal perimetro della casa, solo il padre va a lavorare, porta il necessario dall'esterno (Christina compresa). La televisione serve solo per guardare i filmini amatoriali della famiglia. I tre figli vengono tenuti impegnati dai genitori in giochi stupidi con premi ridicoli; al tempo stesso, la paura profonda dell'esterno non fa mai nascere in loro il desiderio di uscire.
Un Kaurismaki greco, con un piglio apocalittico alla Lars Von Trier; in questo caso, influenze di The Village, di Shyamalan, e di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Questo un sunto degli accostamenti che diversi recensori hanno usato per questo Kynodontas/Dogtooth, e per il regista, anche sceneggiatore, qui al suo secondo lungometraggio, accostamenti e paragoni sui quali mi trovo d'accordo. Un film sconvolgente e geniale nella sua semplicità, un piglio sicuro da artista vero, iconoclasta, che con durezza e ruvidità invita lo spettatore all'interpretazione della metafora universale. Il mondo creato dai due genitori sarà il nostro guscio occidental-razzista, oppure l'unica salvezza dall'apocalisse del pianeta, che stiamo fabbricando con le nostre mani, è rinchiudersi in un guscio deviato, incestuoso e ignorante? A voi la scelta.
Fotografia precisa ma asettica, telecamera spesso fissa, attori perfettamente alienati, trovate come detto geniali, qualche scena particolarmente disturbante (confesso, nella scena che rimanda al titolo ho distolto lo sguardo ben tre volte), finale aperto che coglie tutti alla sprovvista, e sprofonda lo spettatore in un'angoscia inusuale, onore che spetta di solito, solo ai maestri e alle opere davvero importanti.
Era nella cinquina dell'Academy per il miglior film in lingua non inglese, ma era troppo duro per vincere. L'uscita italiana non è minimamente prevista, ma se vi piace il cinema che fa pensare, cercate di recuperarlo. Non ve ne pentirete.
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