London River - di Rachid Bouchareb (2010)
Giudizio sintetico: da vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: edu'ativo
2005, Elisabeth è un'energica vedova che vive nella deliziosa quiete rurale di Guernsey. Sua figlia Jane abita a Londra per studiare. Dopo qualche giorno che non si fa sentire, e che non richiama nonostante i numerosi messaggi che la madre le lascia nella segreteria telefonica, Elisabeth comincia a preoccuparsi, e si reca nella capitale inglese. Lì prende contatto con una realtà che è lontana anni luce da Guernsey. Quartieri interamente multietnici, gente che parla inglese con una certa difficoltà. Inizialmente molto diffidente, scopre che il padrone di casa di Jane è un immigrato dalla faccia da killer (e che fa il macellaio!), che però gentilissimo le dà tranquillamente le chiavi per poter stare nell'appartamento di sua figlia in attesa che si faccia viva. Inizia le ricerche, e si rende conto che Jane non dà più notizie di sé dal giorno degli attentati del 7 luglio. la polizia, ovviamente in affanno, non sa darle aiuto più di tanto.
La sua strada si incrocia con quella di Ousmane, un africano emigrato da anni in Francia, che non vede suo figlio da quando era piccolo, ma che è scomparso anche lui proprio in quei giorni. Le loro strade, appunto, si incrociano perchè, scoprono, i due ragazzi facevano coppia. Elisabeth, a questo punto diventa ancora più diffidente, soprattutto dopo aver scoperto che sua figlia, insieme al figlio di Ousmane, frequentava la moschea, e reagisce malamente. Ma, nonostante la preoccupazione cominci a divenire disperazione, la ragione alla fine prende il sopravvento.
Bel film, sussurrato anche se su un tema scottante, educativo anche se un po' didascalico, questo del francese di chiare origini maghrebine Bouchareb, tra l'altro con molta esperienza alle spalle, ma poca visibilità nel nostro paese. Un film chiaramente sull'arricchimento che deriva da più culture, dall'incontro possibile delle etnie, e perchè no, delle religioni. La diffidenza che abita il personaggio di Elisabeth è quella che abita un po' tutti noi: si spera che, prima o poi, anche la saggezza che, dopo l'iniziale diffidenza, prende il sopravvento, sia dentro di noi pure quella.
Camera attenta che segue i protagonisti nei minimi particolari, fotografia giusta per i luoghi, protagonisti due attori straordinari, Brenda Blethyn nei panni di Elisabeth e il meno conosciuto Sotigui Kouyaté nei panni di Ousmane (purtroppo deceduto quest'anno), che probabilmente non avrebbero avuto nemmeno bisogno di un bravo direttore d'orchestra per risultare bravi.
Da vedere, se possibile, in lingua originale, per apprezzare il francese della Blethyn (e pure quello di Kouyaté, soffice come zucchero filato), visto che i due personaggi dialogano in francese, pur essendo in Inghilterra, visto che Ousmane non sa una parola d'inglese.
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