Nonostante l'arrivo deciso della brutta stagione, i giornalisti bravi titolerebbero "torna il sereno all'Ardenza". Oggi Livorno - Torino 2 a 1, partita combattuta, sofferta fino alla fine, giocata bene da entrambe le parti, con la superiorità divisa, se vogliamo riassumere molto grossolanamente, un tempo per parte (non è propriamente così, in effetti, ma non stiamo a guardare il pelo nell'uovo).
Questa vittoria casalinga vale molto di più di quella ottenuta neppure una settimana fa, contro il pur meritevole Cittadella per 3 a 0, e non solo per l'avversario, più blasonato e tecnicamente superiore (non del tutto, alla fine), quanto per il fatto di essere venuta alla fine di una prestazione convincente da parte di tutta la squadra, e non ultimo anche per la questione "stato di forma". In 7 giorni, 2 vittorie interne e un pareggio esterno, riacciuffato per i capelli ad onor del vero, che alla fine mostrano una squadra in buona forma fisica, che sta pian piano trovando la quadratura del cerchio.
Sia chiaro, non siamo qui a dire che andremo dritti in serie A: direi di toglierci una volta per tutte la questione dalla testa. Il massimo a cui può aspirare questo Livorno nuovo per, spesso, 7/8 undicesimi, sono i playoff, da disputare con dignità. Una stagione che faccia abituare i (pochi) tifosi rimasti sugli spalti alla serie cosiddetta cadetta, per fargli capire che questa è la nostra dimensione.
E non è detto che ci si arrivi, perchè la concorrenza è agguerrita e folta.
Detto questo, oggi finalmente, dopo parecchi mesi, le, come messo prima tra parentesi, poche persone che ancora vengono allo stadio Armando Picchi, hanno potuto assistere alla partita di una squadra motivata, battagliera, capace di creare palle gol (e di sbagliarne la maggior parte) come pure di soffrire chiudendosi a difendere il prezioso vantaggio, dopo aver traballato sotto i colpi del Toro ferito due volte; per la prima volta dopo molti mesi, chi vi scrive è scattato in piedi urlando con un misto di rabbia e gioia dopo un gol, certo di essere testimone ad un passo importante nella (ri)formazione di una squadra. E questa cosa, oggi, sui gradoni, la sentivano tutti.
Nella foto, tratta da qui, Romano Perticone, che dopo l'uscita di Tavano ha indossato la fascia di capitano, fascia che, a detta di chi vi scrive, dovrebbe appartenergli senza ulteriori indugi. Anche nel calcio, però, la meritocrazia non è il sistema in uso. Blasone (stantìo) e psicologia, spesso creano dei vicoli ciechi.
Nessun commento:
Posta un commento